1. A fronte di una domanda di un’associazione di promozione sociale volta all’individuazione e
concessione da parte del comune di uno spazio da adibire in modo permanente e duraturo a luogo di
culto religioso per la comunità musulmana, deve intendersi affetto da deficit istruttorio e
motivazionale il provvedimento di diniego fondato sul rilievo dell’assenza di un’area destinabile a
culto, secondo la pianificazione urbanistica, laddove, al contrario, detta area non solo risulti esistente,
ma il comune richieda contraddittoriamente adempimenti che ne presuppongono l’esistenza,
evidenziando inoltre che, quando pure detta area fosse disponibile, sarebbe necessaria seguire una
procedura ad evidenza pubblica. In siffatto modo il comune frappone un illegittimo e insormontabile
ostacolo all’esercizio della libertà di culto da parte dell’associazione richiedente con un diniego che,
nella sua perentorietà immotivata, blocca qualsiasi prospettiva e iniziativa. (1).
2. Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato, nel riformare la sentenza di prime cure ( T.ar. per
la Lombardia, sez. I, 28 maggio 2024, n. 1619) ha prescritto in via conformativa che il Comune
dovesse prendere in considerazione l’area in esame, chiarendo se essa sia effettivamente destinabile
al culto, e solo dopo avere individuato l’esistenza di detta area o di altra in ipotesi destinabile a culto,
secondo la strumentazione urbanistica vigente, dovesse richiedere all’associazione interessata il
puntuale adempimento delle condizioni necessarie, al fine di verificare la concreta fattibilità della
proposta progettuale, valutando, dipoi, la necessità di procedere ad una indagine di mercato o, in ogni
caso, ad una procedura selettiva per l’assegnazione di detta (o altra) area in concessione nel rispetto
del principio di concorrenza e di parità tra le confessioni religiose interessate al godimento dell’area.
3. Deve essere esclusa l’autonoma impugnabilità del certificato di destinazione urbanistica, avente
natura ed effetti meramente dichiarativi e non costitutivi di posizioni giuridiche, le quali discendono
invece da altri provvedimenti, che hanno a loro volta determinato la situazione giuridica acclarata dal
certificato stesso. Il certificato di destinazione urbanistica, in quanto privo di efficacia
provvedimentale, non ha alcuna concreta lesività, il che rende impossibile la sua autonoma
impugnazione, mentre gli eventuali errori contenuti in esso potranno essere corretti dalla stessa
amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice
amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati in base
all’erroneo certificato di destinazione urbanistica. (2).
(1) Secondo Corte cost., 5 dicembre 2019, n. 254, della libertà di religione, costituente diritto inviolabile, il
libero esercizio del culto è un aspetto essenziale, per cui l’esercizio pubblico e comunitario del culto va tutelato,
e va assicurato ugualmente a tutte le confessioni religiose, a prescindere dall’avvenuta stipulazione o meno
dell’intesa con lo Stato e dalla loro condizione di minoranza. La libertà di culto si traduce anche nel diritto di
disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare (Corte cost. n. 67 del 2017) e comporta perciò
più precisamente un duplice dovere a carico delle autorità pubbliche cui spetta di regolare e gestire l’uso del
territorio (essenzialmente le regioni e i comuni): in positivo – in applicazione del principio di laicità – esso
implica che le amministrazioni competenti prevedano e mettano a disposizione spazi pubblici per le attività
religiose; in negativo, impone che non si frappongano ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi
privati e che non si discriminino le confessioni nell’accesso agli spazi pubblici (Corte cost. n. 63 del 2016, n.
346 del 2002 e n. 195 del 1993).
(2) Conformi: Cons. Stato, sez. IV, 04 febbraio 2014, n. 505
Consiglio di Stato – Sezione Settima – Sentenza 27 febbraio 2025, n. 1710.