1. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella
negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione
ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata.
Pertanto, si è chiarito (Cass., sez. 3, 31 maggio 2018, n. 13747) che è consentita. la censura per
violazione di legge, quando il giudice di merito “dopo aver ricostruito la quaestio facti secondo le
allegazioni e le prove offerte dalle parti”, individua i termini della fattispecie concreta e, quindi,
riconduce quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra a cui sarebbe in
realtà riconducibile oppure si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe
riconducibile o a qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe una cui potrebbe essere
ricondotta. (Cass., sez. 3, 31 maggio 2018, n. 13747). La valutazione così effettuata della relativa
motivazione “non inerente per lo più all’attività di ricostruzione e, dunque, di apprezzamento dei fatti
storici, bensì all’attività di qualificazione in iure di essi e, dunque, ad un giudizio normativo, è
controllabile e deve essere controllata dalla Corte di cassazione nell’ambito del paradigma del n. 3
dell’art. 360 c.p.c
2. Il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata
sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente
individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla
fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione.
Con la nozione di “falsa applicazione di norme di diritto”, il legislatore fa riferimento al paradigma
secondo nel quale si deve controllare se la fattispecie concreta – “assunta così come ricostruita dal
giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne
l’esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo”
– è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di
merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra
fattispecie giuridica oppure ancora era irriconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non
rilevare in iure, oppure ancora “non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica
cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (c.d. vizio
di sussunzione o di rifiuto di sussunzione)”.
3. Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.,
descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e
l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione
della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata.
Insomma, vi è violazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., non solo nel caso in cui vi sia
violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della
stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, “consistente nella sussunzione della fattispecie
concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa
prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta,
conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione” (Cass., sez. 5, 25
settembre 2019, n. 23851; anche Cass., 26 settembre 2005, n. 18782).
Commette, dunque, falsa applicazione di legge il giudice che ricollega ad una certa normativa effetti
inappropriati, traendo dalla norma correttamente individuata conseguenze diverse da quelle
consentite (Cass., 29 agosto 2019, n. 21772), oppure traendo dalla norma, in relazione alla fattispecie
concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta
Nel caso in esame, si è in presenza della condotta del giudice di merito che è censurabile in sede di
legittimità, perché sono state tratte dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze
giuridiche che contraddicono la pur corretta sua interpretazione (Cass., sez. 3, 30 aprile 2018, n.
10320). Nella specie, i ricorrenti non criticano la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito,
il quale ha riportato in modo corretto le valutazioni del CTU sulla natura giuridica dell’area di
sconfinamento, ma impostano la loro censura di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
esclusivamente nell’avere tratto dagli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., conseguenze giuridiche che ne
hanno contraddetto la pur corretta interpretazione.
4. L’art. 822 c.c., in particolare, stabilisce che “appartengono allo Stato e fanno parte del demanio
pubblico, il lido del mare, la spiaggia, le rade i porti (…)”, Come pure l’art. 28 cod. nav. prevede che
“fanno parte del demanio marittimo: a) il lido, spiagge, i porti, le rade (…)”.
Orbene, per giurisprudenza di legittimità consolidata, costituiscono lido e spiaggia e come tali sono
comprese nel demanio marittimo, ai sensi degli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., la striscia di terreno
immediatamente a contatto con il mare, e comunque coinvolta dallo spostamento delle sue acque
(tenuto conto anche delle maree), nonché quell’ulteriore porzione, fra detta striscia e l’entroterra, che
venga concretamente interessata dalle esigenze di pubblico uso del mare (Cass., 2 giugno 1978, n.
2756).
5. Inoltre, per stabilire se un’area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio
marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le seguenti
circostanze:1) che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non
sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo;
3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso,
approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione)
anche solo allo stato potenziale (Cass., 23 aprile 1981, n. 2417; anche Cass., sez. 3, 28 maggio 2004,
n. 10304; di recente Cass., 24 agosto 2023, n. 25223 e Cass., 12 luglio 2018, n. 18511).
Cassazione civile, Sezione Prima, Ordinanza, 05 agosto 2024, n. 22103, in Guida al Diritto, 25 gennaio 2025, n. 2, pag. 92, con commento di Eugenio Sacchettini “Usucapione sullo sconfinamento, le parti torneranno davanti ai giudici”.