1. In materia di pratiche commerciali scorrette vale il principio del c.d. “doppio binario” di tutela, una amministrativa e l’altra giudiziaria e pertanto è esclusa la possibilità di invocare il principio del “ne bis in idem” nel procedimento giudiziario relativo a una pratica commerciale scorretta che sia già stata sanzionata dall’AGCM. 2. Affinché sussista la legittimazione di un’associazione senza scopo di lucro a esperire l’azione inibitoria collettiva di cui all’art. 840-sexiesdecies c.p.c. è sufficiente che gli obiettivi statutari dell’associazione comprendano la tutela degli interessi pregiudicati dalla pratica commerciale in questione. 3. In tema di pratiche commerciali scorrette, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del Codice del Consumo, una pratica commerciale è scorretta “se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.” 4. In proposito, l’art.18, comma 1, lettera h), del Codice del Consumo definisce la “diligenza professionale” come “il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista”. 5. L’art. 20, comma 4, del Codice del Consumo qualifica come “scorrette le pratiche commerciali: a) ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23”. L’art. 21, comma 1, lettere c) e d), del Codice del Consumo, considera “ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: (Omissis) c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all’approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto; d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo.”; l’art. 22, comma 1 del Codice del Consumo, considera “ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.”; – l’art. 22, comma 2, del Codice del Consumo, ai sensi del quale una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole “quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidente dal contesto nonché quando, nell’uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Tribunale Torino, Sezione specializzata in materia di imprese, Decreto, 23 aprile 2024, in Foro italiano, ottobre 2024, n.10, I,p. 2826, con nota di Antonio Paolo Seminara <> e con nota di Stefano Pagliantini e di Roberto Pardolesi, “Il Pandorogate alla luce del private enforcement dell’art. 2, comma 15 bis, cod. consumo: alla ricerca del rimedio compensativo azionabile”.