Ambiente

AMBIENTE: 1. -Art. 6, paragrafo 2, della Direttiva 92/43/CEE (cd. Direttiva Habitat) -Art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 357 del 1997 -Obbligo degli Stati membri di evitare il degrado degli habitat naturali – Sussistenza -Contenuti e limiti -Individuazione. 2. -Art. 6, paragrafo 2, della Direttiva 92/43/CEE (cd. Direttiva Habitat) -Art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 357 del 1997 -Accertato stato di degrado di un sito di interesse comunitario/zona speciale di conservazione -Istanza-diffida per l’adozione di misure per evitare tale degrado – Inottemperanza -Rimedio dell’azione avverso il silenzio inadempimento – Art. 117 c.p.a. – Applicabilità.

1. L’art. 6, paragrafo 2 della direttiva habitat prende come punto di partenza il principio di prevenzione
e si configura, rispetto agli altri paragrafi della disposizione, come una fonte autonoma di obblighi
per gli Stati membri. Esso, infatti, disciplina l’ipotesi specifica del “degrado degli habitat”, senza
distinguere tra degrado potenziale o già in corso. Tale disposizione, secondo le indicazioni fornite
dalla Corte di giustizia UE, va interpretata nel senso di imporre agli Stati membri di adottare tutte le
“opportune misure” per garantire che non si verifichino, o che si interrompano, un “degrado” o una
“perturbazione” significativi, onde evitare qualsiasi peggioramento, causato dall’uomo o di origine
naturale prevedibile, degli habitat naturali e degli habitat di specie. Le “opportune misure” di cui al
paragrafo 2 vanno al di là delle misure di gestione necessarie ai fini della conservazione, già
disciplinate dal paragrafo 1 dello stesso articolo 6. La presenza, nella norma, di espressioni come
«evitare il degrado degli habitat» e «tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative»
sottolinea non solo la natura preventiva e anticipatoria delle misure da adottare ma anche, in caso di
degrado già in atto, la necessità di misure “attive”, “anticicliche”, in grado di invertire il processo
che, in assenza di iniziative, proseguirebbe irreversibilmente. In altri termini, secondo il vincolo della
direttiva: da un lato non è accettabile aspettare che si verifichi un degrado o una perturbazione per
adottare tali misure; d’altro lato, se il degrado è già in atto, non basta più solo prevenirlo, ma occorre
contrastarlo, per ripristinare lo stato riscontrato al momento della individuazione del sito.
L’eliminazione dell’impatto negativo può richiedere, a seconda dei casi, la sospensione dell’attività
e/o l’adozione di misure di attenuazione o ripristino, anche effettuando una valutazione ex post. Le
misure, in ogni caso, devono essere “effettive”, “efficaci” e “adeguate”, e pertanto non solo
conservative, ma di intervento positivo, con effetti misurabili e, se necessario, “anticiclico”. […]

Consiglio di Stato, Sezione Quarta, Sentenza 30 aprile 2024, n. 3945, in Guida al Diritto n. 23/2024, pag. 90: “Giudici amministrativi a presidio dell’effettiva protezione ambientale” di A. Moliterni

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