1. Il mero annullamento di un provvedimento illegittimo non è sufficiente a fondare la domanda di
risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi pretensivi, essendo a tal fine necessario un
quid pluris consistente nella dimostrazione che, in assenza di tale provvedimento, il ricorrente
vittorioso avrebbe senz’altro avuto accesso al bene della vita, secondo un giudizio prognostico sulla
fondatezza dell’istanza. Non può trovare accoglimento la domanda risarcitoria qualora non risulti
comprovato il nesso di causalità immediata e diretta tra l’arresto procedimentale e l’abbandono
dell’investimento programmato se tale stasi, estremamente contenuta nel tempo, poteva essere
agevolmente superata con modalità non eccessivamente gravose, come la presentazione di una nuova
domanda di rilascio dell’atto ampliativo ovvero con il completamento degli adempimenti ai fini
dell’utile conclusione dell’iter autorizzativo.
2. L’accertamento del nesso di consequenzialità immediata e diretta del danno con l’evento pone
problemi di prova con riguardo al lucro cessante in misura maggiore rispetto al danno emergente; a
differenza del secondo, consistente in un decremento patrimoniale avvenuto, il primo, quale possibile
incremento patrimoniale, ha di per sé una natura ipotetica. La valutazione causale ex art. 1223 c.c.
assume pertanto la fisionomia di un giudizio di verosimiglianza (rectius di probabilità), in cui occorre
stabilire se il guadagno futuro e solo prevedibile si sarebbe concretizzato con ragionevole grado di
probabilità se non fosse intervenuto il fatto ingiusto altrui.
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, sentenza 19 giugno 2024, n. 5478