1. L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle
comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche),
come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25
novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a una
disposizione nazionale che impone al giudice nazionale – allorché interviene in sede di controllo
preventivo a seguito di una richiesta motivata di accesso a un insieme di dati relativi al traffico o di
dati relativi all’ubicazione, idonei a permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata
dell’utente di un mezzo di comunicazione elettronica, conservati dai fornitori di servizi di
comunicazione elettronica, presentata da un’autorità nazionale competente nell’ambito di un’indagine
penale – di autorizzare tale accesso qualora quest’ultimo sia richiesto ai fini dell’accertamento di reati
puniti dal diritto nazionale con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, purché
sussistano sufficienti indizi di tali reati e detti dati siano rilevanti per l’accertamento dei fatti, a
condizione, tuttavia, che tale giudice abbia la possibilità di negare detto accesso se quest’ultimo è
richiesto nell’ambito di un’indagine vertente su un reato manifestamente non grave, alla luce delle
condizioni sociali esistenti nello Stato membro interessato.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, sentenza 30 aprile 2024, n. 178/22, in il Quotidiano Giuridico, 14/05/2024, “Tabulati telefonici, reati gravi e poteri del giudice secondo la Corte di Giustizia” di G. Spangher