1. In tema di risarcimento di danni, se è esatto affermare che il danno derivante dalla lesione della
capacità lavorativa generica deve essere risarcito in termini di danno biologico, eventualmente con
un appesantimento del punto, va tuttavia rimarcato che tale criterio non è sempre utilizzabile quando
il danno alla salute supera una certa soglia. Sebbene detta soglia risulti variamente individuata in
giurisprudenza, ove il danno da invalidità permanente sia accertato nella misura del 36 per cento,
risulti caratterizzato da oggettivi e rilevanti disturbi quali la difficoltà di deambulazione, la zoppia, il
basculamento del bacino, ecc. e sia accompagnato da un livello di istruzione certamente non elevato,
tale danno non potrà che tradursi, secondo la regola causale del più probabile che non, anche in una
diminuzione della capacità di lavorare e, quindi, di produrre un reddito. E’ ragionevole ritenere, infatti,
che in tali evenienze il danneggiato ben difficilmente svolgerà un lavoro intellettuale che, in astratto,
potrebbe essere espletato anche da chi si trovi nella sua situazione senza maggiori difficoltà, dovendo
egli probabilmente avviarsi ad un lavoro manuale, per cui una diminuzione patrimoniale rientra nel
novero delle possibilità che devono essere considerate.
2. Nel caso di lesione della salute di rilevante entità, occorsa a soggetto che, all’epoca del sinistro,
non svolgeva alcuna attività lavorativa, il pregiudizio conseguente alla riduzione della capacità
lavorativa generica è risarcibile quale danno patrimoniale allorquando, alla stregua di un criterio di
regolarità causale, risulti diminuita la capacità del danneggiato di produrre reddito mediante lo
svolgimento di occupazioni consone al livello d’istruzione posseduto.
Cassazione civile, sezione terza, Ordinanza del 20/12/2023, n. 35663 in Giurisprudenza Italiana, n. 3/2024, pag. 504