1. La norma di legge applicata dall’Amministrazione ‒ segnatamente: l’art. 635, comma 1, lettera gbis, del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), che annovera tra i requisiti
generali per il reclutamento la circostanza di «non essere in atto imputati in procedimenti penali per
delitti non colposi» ‒ va interpretata, in modo conforme a Costituzione, nel senso di giustificare
soltanto l’esclusione precauzionale e provvisoria del candidato ‘imputato’ (il quale deve comunque
essere ammesso a partecipare alle prove), con il dovere di procedere al reclutamento dello stesso ove
successivamente emerga la sua totale estraneità ai fatti contestati in sede penale.
L’interpretazione conforme così tratteggiata consente di cogliere appieno la ratio della citata
disposizione dell’ordinamento militare. L’inizio di un procedimento penale, di per sé, non consente
di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in
ferma permanente. Venuta meno l’imputazione a carico di un individuo a seguito di assoluzione (nelle
ipotesi corrispondenti alle prime casistiche descritte dall’art. 530 del c.p.p., ovvero quando la sentenza
viene pronunciata perché l’imputato non ha commesso il fatto, perché questo non sussiste, ovvero
perché il fatto non costituisce reato), non vi è ragione di dubitare della sua idoneità a ricoprire quel
determinato ruolo. […]
Consiglio di Stato, Sezione Seconda, Sentenza 12 maggio 2023, n. 4800