1. L’azione di ingiustificato arricchimento è un rimedio restitutorio mirante a neutralizzare lo
squilibrio determinatosi, in conseguenza di diversi atti o fatti giuridici, tra le sfere patrimoniali di
due soggetti, nei limiti – per l’appunto – dell’arricchimento che non sia sorretto da una “giusta causa”
[…].
A differenza di quanto previsto nel diritto romano, la scelta del legislatore denota come si sia voluto
introdurre un rimedio di carattere generale, avente però natura sussidiaria alla stregua di norma di
chiusura dell’ordinamento, attivabile in tutti quei casi in cui l’arricchimento di un soggetto in danno
di altro soggetto non sia “corretto” da specifiche disposizioni di legge.[…]
Il codice del 1942, discostandosi dal modello francese, ha però dato riconoscimento di diritto
positivo all’ingiustificato arricchimento, accordando un rimedio di carattere generale comune a tutte
le fonti di obbligazioni di origine legale allo scopo precipuo di “integrare eccezionalmente le
deficienti disposizioni del sistema legislativo”.
L’introduzione dell’istituto è però stata accompagnata da quella che molti hanno ritenuto essere una
vera e propria cautela da parte del legislatore, che è rappresentata dalla regola di sussidiarietà
esplicitamente dettata dall’art. 2042 c.c., secondo cui il rimedio de quo non è azionabile quando
l’impoverito “può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito”, clausola
che è invece assente nella legislazione di altri paesi[…].
2. Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda
di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su
clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel
caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto
azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio
subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto
per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.
Corte di Cassazione -Sezioni Unite Civili -Sentenza 5 dicembre 2023, n. 33954