1. La questione sollevata dall’appellante attiene all’efficacia ex tunc delle sentenze con cui la Corte
costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge, che è scolpita nel nostro
ordinamento a garanzia della rigidità della Costituzione (la si ricava dal combinato disposto degli
articoli 136 Cost. e 30, comma 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87), e cui non può non conseguire la
caducazione per illegittimità derivata del provvedimento amministrativo che si sia basato su una
norma incostituzionale (con il solo limite, come è noto, dei cc.dd. “rapporti esauriti”): pertanto, dalla
declaratoria di incostituzionalità della norma posta a fondamento del provvedimento impugnato in
primo grado (determinazione della Regione Puglia n. 103/2019), deriva l’illegittimità di tale atto che
va, di conseguenza, annullato.
2. Tenuto conto dei criteri e parametri ai quali la Corte di giustizia riconnette la possibilità di sacrificio
della posizione di vantaggio del privato, ne deriva che:
a) risponde all’“interesse generale” la necessità di evitare che, una volta che una norma di legge sia
stata cancellata con effetto retroattivo dall’ordinamento, perché incostituzionale, chi abbia ottenuto
vantaggi economici, sulla base di quella norma, continui a goderne sine die;
b) peraltro, l’ordinamento predispone due tipi di strumenti a tutela dell’affidamento di chi abbia
ottenuto un titolo poi annullato perché illegittimo:
b1) ferma restando l’impossibilità che il provvedimento illegittimo continui a produrre effetti de
futuro, è rimesso al giudice, nell’esercizio del proprio potere conformativo, determinare e modulare
gli effetti anche ripristinatori del proprio decisum con riguardo alle situazioni anteriori (articolo 34,
comma 1, lettera e), c.p.a.);
b2) il beneficiario del titolo annullato può far valere il proprio legittimo affidamento con l’azione
risarcitoria proponibile dinanzi al g.o., proprio al fine di vedere indennizzato l’affidamento
incolpevolmente riposto in un provvedimento di cui sia poi emersa la illegittimità;
c) infine, quanto al tema della prevedibilità, nella specie l’immediata impugnazione giudiziale del
provvedimento di autorizzazione e contestuale accreditamento rilasciato all’odierna appellante,
unitamente alle vicende connesse (ivi compresa la precedente declaratoria di incostituzionalità di due
norme di legge sostanzialmente sovrapponibili a quella poi cassata con la sentenza n. 32/2023),
consentono di escludere che il venir meno del titolo de quo fosse realmente imprevisto o
imprevedibile per la stessa appellata, il che priverebbe anche di rilevanza la questione comunitaria.
3. Non sussiste la colpa della P.A. in caso di applicazione di una norma successivamente dichiarata
incostituzionale (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 18 gennaio 2017, n. 190; Cons. Stato, Sez. VI, 4 febbraio
2014, n. 524; Cons. Stato, Sez. III,10 luglio 2014, n. 3526): l’efficacia retroattiva delle sentenze
dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma non vale a far ritenere illecito il
comportamento realizzato, in epoca antecedente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente
alla norma poi dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da
dolo o colpa, “con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno può essere fatto valere non
dalla cessazione del rapporto bensì per il solo periodo successivo alla pubblicazione della sentenza
della Corte Costituzionale…” (vedi, in tal senso, Cassazione civile sez. lav. – 13 novembre 2018, n.
29169).
4. A fronte della libertà della funzione politica legislativa (art. 68 Cost., comma 1, art. 122 Cost.,
comma 4), non è ravvisabile un’ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di
illecito, e arrivare a fondare il diritto al suo risarcimento quale esercitato nel presente giudizio.
Consiglio di Stato – Sezione Terza – Sentenza 6 settembre 2023, n. 8188 in Guida al Diritto n. 39/2023 pag. 91, con commento di G.
Pernice “Nella ricostruzione degli effetti non alla colpa della Pa e ai ristori”.